Broken Portraits. Danilo Pavone Photographer

Quando la fotografia indaga la realtà.

Vogliamo parlarvi di un fotografo che va oltre la fotografia connotandola con ricerca ed indagine sociale, interrogando l’uomo e la sua condizione di libertà.

 Danilo Pavone Photographer

Progetto: Broken Portraits

Broken Portraits (2014)

 

Testo di Maria do Carmo Serén.

Da poco più di un decennio, Danilo Pavone ci mostra immagini di corpi di uomini e donne divisi con simmetrie e forme disfatte, come se il nostro sguardo li frazionasse dentro a una logica che volutamente ancora ha a che vedere con l”Era del Vuoto” di Lipoveski. Sono immagini molto belle, che indagano il Canone greco in distruzione volontaria.

In Broken Portraits i tempi sono definitivamente altri.

L’Uomo-impresa creato dal neoliberalismo economico non soffre più la frustrazione nevrotica dell’eccesso di sollecitazioni, al contrario, vive in un universo di isolamento dei generi e di fedeltà al simbolismo generato dalle istituzioni. L’uomo-impresa obbliga se stesso, e questa è la sua distorta libertà, ad auto-crearsi, a modellare corpo e anima dentro dei quadri ideologici, forniti dallo schieramento morale e formale da lui scelto per definire la sua indispensabile autostima nei tre campi eletti: lo sport, la sessualità e il lavoro. Per raggiungere lo standard richiesto l’uomo-impresa deve definirsi e misurarsi in gradi di velocità, qualità della performance, intensità degli orgasmi e superamento degli obiettivi nel lavoro, evolvendo in un continuo miglioramento attraverso la creazione di nuovi livelli da superare. Si tratta, secondo gli psichiatri,di un soggetto dalle esigenze estremamente malleabili e mutabili, un immenso collage di frammenti che si vanno accumulando in nuove esperienze e nuove ascese. La norma sociale che da sempre si basa su una media equilibrata, adesso richiede la massima performance. Se guardiamo questi corpi o queste significative fratture di corpi di Danilo Pavone, dove la bellezza e la forma si fondono in un eccesso di perfezione, ne interpretiamo l’effetto dell’ autostima e dell’elevazione formale che illustra questo nuovo ideale del binomio uomo-impresa. Ma la delusione, che trasfigura da un decennio sui corpi raffigurati nell’opera dell’artista, in questa serie viene sostituita da una forma di depressione – depressione condivisa da chi guarda e dal soggetto raffigurato. Il tema è ancora l’angoscia dell’uomo, condizione naturale del suo essere, ma privata della consolazione di un possibile ritorno alla natura che ci offriva l’Era del Piacere con i suoi canoni di bellezza.

Questi corpi sono più forma che natura, sono una scelta, una razionalizzazione del desiderio, imposta dalla società della concorrenza volta allo sviluppo della solitudine dei suoi efficaci funzionari, dedicati a superare se stessi e a offrirsi nel mercato quotidiano come superuomini, come progetto-identità.

Questi uomini e donne nascondono il viso simbolo di identità perché l’individuo, dell’era neoliberista, è riconoscibile esclusivamente dal raggiungimento costante della massima performance privo della quale l’individuo perde di unità e di senso.

 

 

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